Foibe, giornata del ricordo

…ma quale ricordo?

Foibe, un nome che evoca orrori.

Orrori che fanno dimenticare altri orrori più grandi.

Gli orrori delle guerra …

Orrori che fanno dimenticare gli orrori che generano la guerra.

Gli orrori di una società che vive di violenza, sfruttamento, oppressione: gli orrori della società capitalista.

Infine, gli orrori delle foibe fanno anche dimenticare gli orrori dell’imperialismo italiano, che nella Venezia Giulia, Istria e Dalmazia «inventò» le foibe e fece scempio di uomini, donne e bambini. Che avevano il torto di essere slavi.

Orrori giustificati e benedetti dal nazionalismo.

Nazionalismo sempre risorgente.

Oggi, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, celebra la giornata del ricordo e afferma: «È la visione europea che ci permette di superare ogni tentazione di derive nazionalistiche , di far convivere etnie, lingue, culture e di guardare insieme con fiducia al futuro».

Ma con quale coerenza, Giorgio Napolitano pretende di superare «derive nazionalistiche» , quando, ogni santo giorno, ci predica la difesa del «Made in Italy»? E ci chiede sacrifici per «far uscire l’Italia dalla crisi», santificando la «competitività» del lavoro e delle merci italiane…

Con queste prediche, Napolitano cerca di legare i proletari italiani al carro dei padroni, che

oggi hanno l’acqua alla gola.

Padroni e politicanti stanno seppellendo lo «Stato sociale» e non hanno altro da offrire se non l’orgoglio nazionale. E sul fronte del lavoro, l’orgoglio nazionale prepara l’orgoglio nazionale sul fronte della guerra. Con nuovi orrori.

Su femo i bravi.
In fondo xe un brusar
Ebrei e Slavi.
CAROLUS CERGOLY, Fuma el camin,
in Ponterosso, Guanda, Parma, 1976.
Il riferimento è al forno crematorio
della «Risiera di San Sabba» di Trieste,
l’unico operante in Italia,
… e xera anca un brusar Italiani …
In copertina
Sopra.
Incendio dell’Hotel Balkan, avvenuto a Trieste il 13 luglio 1920, da
parte delle squadre fasciste, capeggiate da Francesco Giunta e protette
da soldati, carabinieri e guardie regie. Costruito nel 1901-
1904, l’Hotel Balkan ospitava tra l’altro il Narodni Dom (Casa del
Popolo o Casa della Nazione), simbolo dell’accresciuta importanza
assunta dalla comunità slovena. Nei primi dieci anni del Novecento,
a causa dell’immigrazione da ogni parte dell’impero austro-ungarico,
la comunità slava (sloveni, croati, cechi) di Trieste era più che
raddoppiata, passando da 25.000 a 57.000 abitanti nel comune (dal
15% al 25%) e da 6.500 a 22.000 nella città (dal 5% al 13%). L’episodio
avvenne nel clima di crescente violenza fascista contro ogni
fonte di opposizione: slavi e movimento operaio, spesso coincidenti.
Sotto.
Esumazione di cadaveri dalle foibe nel dopoguerra. In Istria, assassinii
e stragi si sussegguirono dai primi giorni dell’occupazione
italiana (1919) e si protrassero fino al 1946, per opera prima dei fascisti,
poi dei nazisti e infine dei nazional-comunisti jugoslavi, con
il conseguente infoibamento di molti cadaveri. Di conseguenza, risulta
assai problematico, se non impossibile, stabilire le modalità e
i precisi responsabili di migliaia di assassinii. Spesso, si parla di
20mila morti, senza specificarne le cause, che possono essere attribuite
a episodi bellici (combattimenti e bombardamenti) ma
anche a malattie e inedia. Il calcolo delle vittime è reso poi difficile
dalla stessa conformazione geologica delle foibe. Infine, quando
prevalgono le passioni xenofobe, è altrettanto difficile stabilire
quante furono realmente le vittime. Sicuramente, furono troppe. E
sicuramente la causa fu il nazionalismo.
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A Pola xe l’Arena
La Foiba xe a Pisin
Che buta zo in quel fondo
Chi ga certo morbin1.
Canto dei giovani fascisti di Pisino, 1919.
Durante e dopo le vicende belliche della Seconda guerra
mondiale, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia si trovarono
stritolate dalla linea di faglia, lungo la quale l’imperialismo
anglo-americano si scontrava con il nazionalismo iugoslavo, sostenuto
dall’Unione Sovietica. Il contrasto era inasprito dalla politica
razzista nei confronti degli sloveni, condotta dall’Italia dopo
l’annessione di quelle regioni, avvenuta nel 1918, e, soprattutto,
con l’occupazione della Slovenia dal 1941 al 1943. Furono 25 anni
contraddistinti da crescenti violenze che, durante la guerra, assunsero
carattere di genocidio2.
All’inizio del Novecento, l’area giuliano-istriana era tra le più
rosse dell’Europa meridionale. Quando i marò italiani sbarcarono
a Trieste, il 3 novembre 1918, sul Municipio sventolava, oltre alla
bandiera italiana, la bandiera rossa. A pochi chilometri da Trieste,
a Pola, i marinai della flotta austro-ungarica si erano ammutinati e
avevano costituito i soviet. All’indomani della «Vittoria», l’Italia
instaurò un regime di occupazione militare, che si protrasse fino al
1921. Le forze di occupazione divennero immediatamente organi
di repressione della dilagante spinta rivoluzionaria3. E subito dopo,
contro questo clima rosso si accanì la reazione fascista, che fu par-
1. A Pola c’è l’Arena, a Pisino c’è la foiba: in quell’abisso vien gettato chi ha certi
pruriti. Lo squadrista istriano GIORGIO ALBERTO CHIURCO, nella sua Storia della
rivoluzione fascista (Vallecchi Editore, Firenze, 1929) si gloria di un’orrenda serie
di violenze, tra cui l’infoibamento di slavi e antifascisti italiani.
2. Cfr. GIANNI OLIVA, «Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani 1940-
1943, Mondadori, Milano, 2007.
3. Cf. GIUSEPPE TUNTAR, Il martirio del proletariato nella Venezia Giulia, Intervento
del parlamentare deputato Giuseppe Tuntar, pronunciato il 21 luglio 1921,
Libreria Editrice del Partito Comunista d’Italia, Milano, 1921. Ora in Archivio
della Sinistra, «Comunismo», a. XXXIII, n. 70, giugno 2011; la presentazione descrive
il clima violentemente repressivo instaurato dai comandi militari italiani
nella zone di confine della Venezia Giulia, all’indomani della dichiarazione di
3
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ticolarmente violenta, con assassini di militanti e incendi delle sedi
operaie. Fin dal 1919, i fascisti avevano inaugurato la macabra consuetudine
di gettare nelle foibe avversari politici o considerati tali
in quanto slavi. Durante il Ventennio, dei 978 processi del Tribunale
Speciale, ben 131 furono celebrati contro sloveni e croati. Di
47 condanne a morte, pronunciate da questo tribunale fascista, ben
36 colpirono sloveni e croati, e 26 furono eseguite.
La persecuzione degli slavi si intrecciò alla repressione contro
socialisti e comunisti che, negli importanti centri industriali di Trieste,
Fiume, Albona e Pola, vantavano una tradizione di forte impronta
internazionalista, fondata su consolidati rapporti tra le
differenti nazionalità che, dalla fine dell’Ottocento, connotavano
il proletariato di quelle zone, dove convivevano non solo italiani,
sloveni e croati, ma anche ebrei e tedeschi. In tutta la regione, le aggressioni
fasciste si susseguirono con crescente violenza: a Trieste,
il 13 luglio 1920 incendiarono l’Hotel Balkan; il 9 febbraio
1921 «Il Lavoratore», quotidiano del Partito Comunista d’Italia per
la Venezia Giulia e, il 28 febbraio, le Camere del Lavoro di Trieste
e dell’Istria.
Per tutto il ventennio fascista – seppur nella difficile condizione
della clandestinità –, il Partito Comunista d’Italia denunciò i soprusi
e le persecuzioni contro gli slavi, mantenendo rapporti non solo con
i comunisti sloveni e croati ma anche con gli ambienti nazionalisti
socialmente più avanzati. La tradizione internazionalista era talmente
radicata, che neppure la sanguinaria pulizia etnica fascista
era riuscita a distruggerla; aveva comunque posto premesse, che furono
poi sfruttate a fondo dai nazional-comunisti jugoslavi. Ma
prima, questi ultimi dovettero eliminare ogni voce di dissenso.
Nel 1942, a Fiume alcuni militanti comunisti, tra cui Giacomo
Rebez4, avevano costituito un organismo che si definì Partito Comunista
Internazionale, sostenendo la lotta di liberazione degli ju-
4
guerra, il 24 maggio 1915. Analoga situazione visse il Sud Tirolo, cfr. CARLO
ROMEO, Alto Adige – Südtirol XX secolo. Cent’anni e più in parole e immagini,
Edition Raetia, Bolzano, 2003.
4. Di Rebez è disponibile una breve testimonianza sulla sua attività nel PCd’I, in
GIACOMO REBEZ, Votazione quasi segreta, Centro di Ricerche Storiche Rovigno,
«Quaderni», vol. III, 1973, p. 422.
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goslavi, in particolare dei croati. Dopo il 25 luglio 1943, si fecero
strada le rivendicazioni territoriali – di cui si fecero portavoce i
partiti comunisti sloveno e croato –, riguardanti, oltre al litorale
istriano-dalmata, con Fiume e Zara, anche il territorio giuliano, con
Trieste e Gorizia. Nell’estate del 1943, la Federazione comunista di
Trieste, pur sostenendo l’unità di lotta contro il nazifascismo,
avanzò una posizione internazionalista, contrapponendo il concetto
di autodeterminazione dei popoli (enunciato fin dal 1915 da Lenin)
alle annessioni per mezzo delle armi, come avrebbero fatto i titini.
Fautore dell’auto-determinazione era il segretario regionale Luigi
Frausin5, che ebbe il sostegno di Natale Kolarich6; entrambi, nel
giro di qualche mese, furono assassinati dai nazifascisti, probabilmente
in seguito a delazioni interessate7. Con loro scomparvero
anche Lelio Zustovich8 – fucilato nell’ottobre 1943 dai nazional-
5
5. Luigi Frausin (Franz), nato a Muggia (Trieste) il 21 giugno 1898, carpentiere.
Dirigente di primo piano del movimento operaio triestino, nel 1921 sostenne la
fondazione del PCd’I. Perseguitato dal governo fascista, nel 1927 fu costretto a
emigrare; nel 1933, rientrato in Italia, fu arrestato, incarcerato e poi confinato.
Tornato in libertà nell’agosto 1943, partecipò alla lotta contro i nazifascisti nella
Venezia Giulia. Arrestato per una delazione, fu trucidato dai tedeschi nel settembre
del 1944. GALLIANO FOGAR, Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-
1945, Irsml-Fvg, Trieste 1999, passim.
6. Natale Kolarich (Bužo), nato a Muggia (Trieste) il 24 dicembre 1908, calzolaio.
Esponente del PCd’I; come Frausin, fu internato dal 1932 al 1943. Arrestato dai
nazi-fascisti, fu fucilato nella Risiera di San Sabba (Trieste) il 18 giugno 1944. GALLIANO
FOGAR, Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, op. cit., passim.
7. I retroscena dell’uccisione dei comunisti triestini e istriani, emersero nel 1948,
nel corso di un processo a carico alcuni esponenti titini del movimento sindacale
triestino, che non avevano saputo adeguarsi al nuovo corso, Disertori alla sbarra,
«Battaglia Comunista», a. IV, n. 43, 7-14 dicembre 1948. La vicenda fu successivamente
approfondita: La questione Frausin e il partigianesimo nella Venezia
Giulia, Ibidem, a. V, n. 43, 16-23 novembre 1949. Cfr. la documentazione fornita
da ROBERTO GREMMO, La fondazione del “Partito Comunista Internazionale” a
Fiume nel 1942 ed i contrasti fra Togliattiani e Titini, «Storia Ribelle», n. 2, Primavera
1996, p. 97. Cfr. anche PATRICK KARLSEN, Il PCI, il confine orientale e il
contesto internazionale 1941-1955, Università degli Studi di Trieste. Scuola dottorale
in Scienze Umanistiche, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico
2007-2008, Realatore Chiar.ma Prof. Anna Maria Vinci, pp. 18 e ss.
8. Lelio Zustovich, fin dal 1921 era uno degli esponenti comunisti più in vista nel
circondario di Albona d’Istria; organizzatore della prima resistenza ai tedeschi,
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comunisti croati –, Zeffirino Pisoni9 , Giacomo Silvestri10 e altri militanti
internazionalisti, anarchici, libertari nonché disertori dell’Esercito
popolare di liberazione della Jugoslavia. Da parte sua, il
PCI, per evitare l’accusa di nazionalismo, uscì dal Comitato di Liberazione
Nazionale della Venezia Giulia e prospettò – obtorto collo
– l’adesione delle province giuliane (oltre Istria e Dalmazia) alla futura
Jugoslavia socialista. Compiuta l’epurazione politica dei comunisti
dissidenti, con il tacito assenso del PCI, i nazional-comunisti
jugoslavi poterono avviare la pulizia etnica contro gli italiani. Furono
colpite soprattutto le persone più o meno compromesse con il regime
fascista, ma ci furono vittime anche tra i proletari. L’esito fu un clima
di accesi odi nazionalisti, che trovarono consenso solo tra gli strati
rurali più arretrati; il proletariato invece fu frantumato, perdendo ogni
ombra di autonomia politica.
Alla campagna xenofoba dei nazionalcomunisti jugoslavi, quelli
italiani risposero con una campagna altrettanto xenofoba quando, nel
luglio 1948, con una rapida giravolta, il PCI si adeguò al diktat sovietico
contro Tito, divenuto «lacché dell’imperialismo USA», nonché
«trotzko-fascista».
6
fu arrestato dal servizio di sicurezza del movimento partigiano croato e poi fucilato
(e «infoibato»), come «nemico del popolo». GALLIANO FOGAR, Trieste in
guerra. Società e Resistenza 1940-1945, op. cit., p. 121.
9. Zeffirino Pisoni nacque a Calavino (Trento), il 26 agosto 1873; si trasferì poi
a Trieste, era insegnante elementare. Da giovane, fece parte della corrente austromarxista
del Partito Socialdemocratico Austriaco. Nel 1921 aderì al PCd’I; durante
il Ventennio fu arrestato ed escluso dall’insegnamento. Scrisse un opuscolo
in cui denunciava lo sciovinismo fascista. Nel luglio 1943 concordò con Giacomo
Silvestri la formazione del Comitato dei partiti antifascisti italiani a Trieste. Nel
gennaio 1944 fu arrestato e internato a Dachau, dove morì, il 18 gennaio 1945.
GALLIANO FOGAR, Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, op. cit., pp.
152-153. ACS, CPC, busta 4011.
10. Giacomo Silvestri nato a Trieste nel 1902, era impiegato comunale. Membro
del CLN triestino, combatté nella brigata Garibaldi-Trieste. Nel novembre 1944 fu
arrestato, senza alcuna motivazione, da partigiani sloveni del IX Corpus e consegnato
all’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda – Dipartimento per la protezione
del popolo), che lo fucilò. GALLIANO FOGAR, Trieste in guerra. Società e Resistenza
1940-1945, op. cit., pp. 23 e 142. ACS, CPC, busta 4810, fascicolo 037879.
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7
PULIZIA ETNICA
Dopo la guerra, l’Istria, la Dalmazia e la maggior parte della Venezia
Giulia entrarono a far parte della neonata Repubblica jugoslava che,
fin dall’inizio, costrinse la popolazione di lingua «italiana» (o meglio
italofona) all’esodo, ricorrendo a tipiche misure di pulizia etnica, in cui,
tuttavia, gli infoibamenti non furono il fattore scatenante. Gli infoibamenti
avvennero nei mesi che precedettero e seguirono la fine della
guerra e colpirono al massimo alcune centinaia di persone, mentre
l’esodo si protrasse per almeno un decennio e coinvolse 250mila persone,
secondo i dati forniti nel 1958 dal Ministero degli Esteri italiano
e secondo le fonti più attendibili (cfr. MARINA CATTARUZZA, L’esodo
istriano: questioni interpretative, in Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione
nel Novecento europeo, ESI, Napoli, 2000, p. 209).
Con i profughi, la «Madre Italia» si dimostrò matrigna: furono relegati
in 109 campi, sparsi per la penisola e le isole, dove vissero per
anni, spesso in condizioni di estremo disagio, anche per quel difficile
periodo. Per valutare l’entità dell’esodo, sarebbe opportuno definire la
composizione etnica dell’area interessata. Tuttavia la questione è abbastanza
problematica, poiché nel corso della guerra ci furono notevoli
flussi migratori; inoltre le province amministrative istituite dall’Italia
nel 1919 e, peggio, nel 1941 (con lo smembramento della Jugoslavia)
furono stabilite con criteri assolutamente arbitrari. Nel 1945, la popolazione
«italiana» (o presunta tale) delle province di Pola e di Fiume
(che comprendevano buona parte dell’Istria e del Carnaro) era inferiore
al 40% (150mila). In Dalmazia era meno del 5% (20mila persone, quasi
tutte nella città di Zara). Le province di Trieste e Gorizia comprendevano
una vasta area prevalentemente di lingua slovena, come parte della
Carniola e la zona carisca. Nel 1919, fu istituita la provincia di Gorizia
con una superficie di 4.470 km2 e con 319.300 abitanti, di cui meno del
40% (120mila) potevano essere considerati «italiani». Alle elezioni del
15 maggio 1921, risultarono eletti quattro sloveni e un comunista (Giuseppe
Tuntar). Appena giunto al potere, nel 1923, il governo fascista
abolì la provincia e ne disgregò il territorio, suddividendolo tra le province
di Udine, Trieste e Pola, per diluire la nazionalità slovena (medesimo
espediente fu usato dal governo inglese nell’Ulster per
«sciogliere», in questo caso, la minoranza cattolica nella maggioranza
protestante). Una volta «bonificata» la zona, nel 1927 la provincia fu ripristinata.
Nel comune di Trieste, circa il 60% della popolazione
(140mila) poteva dirsi «italiana». Tranne che nelle città e lungo le coste,
la popolazione italiana rappresentava una minoranza.
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UNA VOCE FUORI DAL CORO:
IL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
Nell’orrendo gioco al massacro, che per oltre cinque anni sconvolse
Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, una delle poche voci fuori
dal coro fu il Partito Comunista Internazionalista, presente a Trieste
con alcuni militanti scampati alle purghe staliniste e titine, tra
cui Francesco Sustersich11. Costoro, coerenti con l’orientamento
internazionalista, fornirono preziose testimonianze – prive di pregiudizi
ideologici – su quanto stava avvenendo, scorgendo sul nascere
anche la speculazione democratica che, in tempi recenti, ha
saputo sfruttare a proprio vantaggio la denuncia dei massacri allora
avvenuti. L’articolo di «Battaglia Comunista (organo del Partito
Comunista Internazionalista), del 1948, descrive l’operazione
che allora i democratici anti-comunisti attuarono nei confronti dei
profughi istriani.
GLI SCIACALLI DEL C.L.N.
DELL’ISTRIA A TRIESTE
Il problema dell’esodo costante e sempre crescente delle popolazioni
dell’Istria, incalzate dalla fame e dal terrore titino, costituisce
una «vexata quaestio» dalla quale, per ben tre anni, certi enti
(autodefinitisi morali) hanno tratto, ma solo per i loro scagnozzi, motivo
di esistere.
Infatti, essi sorsero come funghi a Trieste, un po’dappertutto in Italia,
fin dal luglio 1945, con gli ormai famosi appellativi di «C.L.N.
dell’Istria e della Venezia Giulia» e con lo scopo precipuo di aiutare
in ogni modo e forma coloro che, perseguitati dai nazionalisti di Tito,
8
11. SAVERIO (o Francesco) SUSTERSICH . Nato nel 1894 in una famiglia operaia nel popolare
rione San Giacomo di Trieste, militò dapprima nella Gioventù socialista e, nel
1921, aderì al PCd’I, entrando nella redazione del «Lavoratore». Perseguitato, percosso
e arrestato dai fascisti non si piegò mai, come non si piegò alle lusinghe dello stalinismo
e del titismo. Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale aderì al PCINT. e
fondò la sezione triestina. Necrologio, «il programma comunista», a. VI, n. 10, 3-17 giugno
1959. CPC busta 4989, fascicolo 020032.
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ne avessero avuto bisogno, ma mostrarono ben presto finalità esattamente
opposte a quelle per le quali avevano dichiarato di sorgere e,
quel che è peggio, servirono a raccogliere e favorire nel loro misterioso
seno i rimasugli sbandati del fascismo, della X MAS e dei collaboratori
nazisti, per divenire infine veri e propri covi di vipere
unicamente preoccupati di coprire di bava e di veleno gli uomini che
avevano combattuto fin dal suo sorgere il regime totalitario.
Ai nostri compagni lettori gioverà tuttavia una premessa atta a
porre nella giusta luce, in questo trambusto di idee, le diverse interpretazioni
in proposito e gli abusi in virtù dei quali molti oggi riescono
a classificarsi «esuli», in Italia, a Trieste e altrove, per trarne
adeguati vantaggi. Quattro sono le categorie di esuli che hanno lasciato
le terre annesse ed amministrate dagli jugoslavi.
La prima, fuggita in aprile, maggio, giugno 1945, comprendente
criminali fascisti, fascistoidi, spie, collaboratori nazisti (tutti di parte
italiana) e, fra quelli di parte serba, croata o slovena, ustascia, belogardisti,
seguaci di Ante Pavelic, spie al servizio dei fascisti e dei nazisti,
i cetnici di Mihailovich, piccole frazioni delle sette non ancora
morte, Mano Nera, Mano Bianca, Orjuna, Sokol, Idranska, Straza,
Srnao, Narodna Odbrana ecc., aderenti come in passato alla monarchia
Karageorgevich (il rimanente ha ingrandito il minestrone titino
salvando la pelle e facendo causa comune con lui)12.
La seconda, fuggita dalla fine del 1945 e tutto il 1946, comprendente
capitalisti, strozzini, speculatori, arricchiti di guerra sia di parte
italiana che croata o slovena, impediti di continuare i loro lerci affari.
La terza, quella degli affamati operai, pescatori della costa istriana
e dalmata, contadini a giornata per la maggior parte di lingua italiana,
rovinati dal prelievo degli utensili di lavoro nelle fabbriche e nei cantieri,
delle reti da pesca e del macchinario agricolo; fattore determinante,
la mancanza di lavoro.
La quarta, i nostri compagni che, ingenuamente sfruttati per ragioni
di lotta che non erano le loro, si soni visti colpiti fra i primi.
9
12. In questo coacervo di organizzazioni reazionarie, ebbero importanza, in Croazia
gli Ustacia di Ante Pavelic, in Serbia i Cetnici del generale Draza Mihailovich
e in Slovenia i domobranci. Nel lessico quotidiano, il belogardista era l’anticomunista,
con riferimento alla composita reazione conservatrice slovena contro il movimento
rivoluzionario, sorto all’indomani del primo conflitto mondiale.
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Ora se, per le prime due, i vari C.L.N. versano lacrime di coccodrillo,
per le altre non lesinano l’umiliazione, gli insulti e l’affamamento.
Insediatisi su comode poltrone imbottite, dietro ad ampi tavoli
preparati dalla combutta clericaloide-massonico-capitalistica sperante
di sopravvivere per merito loro, questi signori, pupazzetti di
pane eternamente condizionato ed autoclassificatisi «insostituibili
polmoni di una vasta attività politico assistenziale a favore degli
“esuli”», iniziarono ben presto la loro subdola attività all’ombra di sicuri
ripari. Fra i tanti che sorsero, quello di Trieste, possiamo ben
dire senza tema di smentita, che sia risultato il campione. Liberatosi
degli elementi più onesti e in buona fede, che avrebbero potuto in
seguito divenire un intralcio a tanta «umanitaria opera» (sic!) gli attuali
dirigenti scelsero tra gli affamati esuli quelli che, meno scrupolosi
ma più addomesticabili, avrebbero meglio servito gli scopi
che i loro padroni perseguivano.
La prima preoccupazione era quindi di allontanare, attraverso
l’intimidazione, la diffamazione e la calunnia i nostri compagni, che
troppo bene li conoscevano ed avrebbero potuto smascherarne il tristo
passato rovesciandoli dai ben remunerati cadreghini. Molti sono
i compagni che, costretti a lasciare la casa sotto le minacce, hanno
dovuto cercare asilo in Italia e particolarmente a Trieste, non senza
aver prima conosciuto il carcere dell’occupatore jugoslavo che, come
quello fascista, accarezza col velario della morte i più recalcitranti.
Ed è proprio contro questi compagni, i più cari perché i più colpiti,
che si è scagliata e si scaglia tuttora la canea parassitaria degli autentici
«dell’ora sesta», col preciso scopo di avvilirli ed affamarli addebitando
loro colpe e responsabilità che vanno unicamente
addossate agli stessi accusatori, causa di tutte le cause. Per questa categoria
di esuli non esiste aiuto a Trieste.
Considerati dai titini nemici acerrimi (e ciò fino dal maggio giugno
1945) perché non «timidi botoli della verga staliniana» respinti
e senza possibilità di chiarire le loro posizioni, a Trieste, li si accusa
oggi d’essere filo-slavi e titini e gli si impedisce di parlare quando
ancora non li si accusa sottovoce d’infoibamenti. Ma i signori del
fantoccio dalle inconcludenti mozioni all’O.N.U., che si fa chiamare
C.L.N. dell’Istria, con sede a Trieste, sanno troppo bene che i
vari colleghi del C.L.N. della Venezia Giulia – coi quali dividono gli
10
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abbondanti emolumenti del governo italiano (sudore proletario) –
non hanno alcuna responsabilità degli infoibati triestini dei sempre
deprecatissimi 40 giorni, ciò che confermerebbe la loro esistenza
da talpe, per cui si guardano bene dal parlarne anche lontanamente.
Noi, però, con la bontà che ci distingue, vogliamo sperare che gl’infoibatori
siano statati i neozelandesi. Forse il futuro ce lo dirà, perché
diversamente, alle mal riposte fiducie nei vari C.L.N. pullulanti
in Italia, dovremmo, nostro malgrado, aggiungere quelli di Trieste
e riconoscere che se qualche fabbricante di scope locale non è riuscito
coi suoi superprodotti a pulire quanto di sporco c’era dentro,
nonostante la nobile presenza di qualche reverendo callo della Lega
o della Banca d’Italia, per risolvere la «vexata quaestio» (la quale a
chi ha bisogno di mangiare non interessa affatto) non c’è che il piccone
demolitore.
L’era del doppio giuoco e dei pesi a due misure deve finire. Per
ora punto; e fra breve da capo.
[ARO, Gli sciacalli del CLN dell’Istria a Trieste, «Battaglia Comunista
», n. 32, 22-29 settembre 1948.]
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Movimento operaio e socialista delle regioni giuliano-istriane
GIUSEPPE PIEMONTESE, Il movimento operaio a Trieste: dalle
origini all’avvento del fascismo, Editori Riuniti, Roma, 1974.
Il proletariato italo-austroungarico contro il militarismo e contro
la guerra, Milano, 1911, ora in Dall’Archivio della Sinistra,
«Comunismo», a XXVI, n. 57, dicembre 2004.
Socialismo, nazionalismo, irredentismo nelle provincie adriatiche
orientali. Relazione per il convegno di Trieste convocato dalla
Sezione Italiana-Adriatica del Partito Operaio Socialista in Austria,
23 aprile 1905, ora in Dall’Archivio della Sinistra, «Comunismo»,
a XXVII, n. 59, dicembre 2005.
La Sezione Italiana Adriatica del Partito Operaio Socialista in
Austria, «Il Partito Comunista» (Organo del Partito comunista internazionale),
Prima parte, n. 335, maggio-giugno 2009; Seconda
parte n. 338, novembre-dicembre 2009; Terza parte, n. 339, gennaio-
febbraio 2010; Quarta parte, n. 340, marzo-aprile.
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Occupazione italiana della Slovenia
GIANNI OLIVA, «Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra
italiani 1940-1943, Mondadori, Milano, 2007.
COSTANTINO DI SANTE (a cura di), Italiani senza onore. I crimini
in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre Corte,
Verona, 2005.
ALESSANDRAKERSEVAN, Un campo di concentramento fascista.
Gonars 1942-1943, Kappa Vu, Udine, 2003.
Foibe
CLAUDIA CERNIGOI, Operazione “foibe” tra storia e mito, Prefazione
Sandi Volk, Resistenzastorica Kappa Vu, Udine, 2005 (2a).
GIACOMO SCOTTI, Foibe e foibe, «Il Ponte della Lombardia», n. 2,
febbraio/marzo 1997, numero speciale (ora, con altri scritti di Giacomo
Scotti, in: http://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm/).
Articoli e opuscoli di area internazionalista forniscono apprezzabili
documentazioni e bibliografie.
AA. VV., Sulla tragedia delle foibe, «Il Comunista», n. 95, maggio
2005.
AA. VV., Foibe. Il macabro trionfo dell’ideologia nazionalista,
Edizioni Prometeo, Milano, 2006.
AA. VV., proposito di foibe, Nucleo Comunista Internazionalista,
Roma, 2008 (Raccolta di articoli del giornale «Che fare»).
PC italiano e PC jugoslavo
MAURIZIO ZUCCARI, Il Pci e la “scomunica” del ’48. Una questione
di principio, in Dagli archividi Mosca. L’URSS, il Cominform
e il PCI (1943-1951), a cura di Francesca Gori, Silvio Pons,
Carocci, Roma, 1998.
PAOLO SEMA, Siamo rimasti soli. I comunisti del PCI nell’Istria
Occidentale dal 1943 al 1946, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia,
2004.

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